MEDICINA - GUIDA MEDICA - I PRIMATI DELL'ORGANISMO

LE NASCITE ECCEZIONALI

Nei capitoli dedicati al cervello, alla mente e soprattutto alla parapsicologia, si è visto che esistono funzioni alle quali è difficile fissare un limite ben definito. Ma anche i fenomeni fisiologici più comuni, di natura non cerebrale né mentale, che si svolgono lungo l'arco della vita umana, dalla nascita alla morte, escono talvolta dalla normalità fino a situarsi alle estreme frontiere della biologia umana. Si tratta di casi straordinari che un tempo alimentavano le superstizioni popolari e oggi arricchiscono le conoscenze scientifiche sulle possibilità, sia pure eccezionali, dell'organismo umano.
Negli annuali della medicina, il caso più estremo di maternità precoce fu quello della peruviana Lina Medina che una settimana prima del suo quinto compleanno, il 14 maggio 1939, nel reparto maternità dell'ospedale di Lima, diede alla luce, mediante taglio cesareo, un bambino che pesava poco meno di 2 Kg. Il neonato, perfettamente formato e in ottima salute, ebbe uno sviluppo normale. Su questo straordinario avvenimento esiste la testimonianza del dottor Gerardo Lozada dell'Accademia di medicina di Lima e di almeno 30 ginecologi delle due Americhe.
La maternità più tardiva è invece quella di Zuleikha Beridze, una contadina della Georgia sovietica, sposata con un uomo di 79 anni, che il 17 dicembre 1966, a 66 anni, diventò madre per l'ottava volta dando alla luce una bambina. Il penultimo figlio, la Beridze l'aveva avuto a 60 anni. Prima di lei, la maternità più tardiva giunta a conoscenza dei ginecologi era quella di un'americana, Ruth Alice Kestler, che nel 1956, a Los Angeles, aveva partorito anch'essa una bambina all'età di 57 anni e 129 giorni.
Il neonato più piccolo che sia sopravvissuto fu quello di una inglese, Marion Chapman: nacque il 5 giugno 1938 a South Shields, dopo 6 mesi di gravidanza, e pesava solo 238 grammi. Il neonato più grosso fu partorito il 21 aprile 1967 da Josefina Soto in una clinica di Lima, in Perù: era una bambina del peso di 11 Kg. circa. Superava di poco il neonato messo al mondo il 3 giugno 1961 da una donna della regione di Adana, in Turchia, il cui peso era di 10,880 Kg.
Fra le anomalie di sviluppo dei neonati, una delle più curiose è la dentizione precoce. L'esempio storico più celebre è quello del re di Francia Luigi XIV, nato nel 1638 con 2 denti. Uno dei più recenti riguarda Silvano Formia, un bambino di Chivasso, in Italia, che alla nascita, avvenuta il 9 dicembre 1966, aveva un dente in via di sviluppo. In questi casi, si tratta sempre di denti incisivi. Ma nel 1956, all'ospedale Bellevue di New York, è stato segnalato un bambino, Robert R. Clinton, che all'età di un mese aveva già un molare.
La donna che ebbe il maggior numero di parti e i cui figli giunsero tutti alla maggiore età, sembra sia stata, secondo un rapporto del dottor E. Atkinson (pubblicato dal British Medical Journal del 1883), una inglese di Surbiton, nel Surrey, sposatasi a 16 anni e morta a 64, che partorì 39 volte mettendo al mondo 32 femmine e 7 maschi. Ma il numero più alto di figli fu raggiunto (e il caso pare ben documentato) da una donna russa, morta nel 1872, che in 29 gravidanze ebbe 69 figli, di cui 16 gemelli, 7 trigemini e 4 quadrigemini.
Riguardo ai parti multipli, la nascita di 7 gemelli è la più rara, a differenza di altri mammiferi (come cane, gatto, coniglio, maiale) nei quali la gemellarità è la regola e spesso supera il numero di 7 neonati per parto, ritenuto il limite estremo per la specie umana. La letteratura medica cita 2 casi di gemellarità septupla e una diecina di sestupla, nei quali di regola nessun neonato sopravvisse.
Relativamente meno rara (circa 50 casi) è la nascita di 5 gemelli, nella quale però la mortalità rimane altissima. Eccezioni giustamente celebri, perché la sopravvivenza si mantenne totale, furono quelle delle 5 sorelle Dionne, nate a Callender, nell'Ontario (Canada) il 28 maggio 1934; e dei 5 fratelli Diligenti (3 femmine e 2 maschi), nati a Buenos Aires, in Argentina, il 15 luglio 1943. Altri 2 casi di gemellarità quintupla con sopravvivenza di tutti i neonati sono stati segnalati negli ultimi anni. La frequenza del parto gemellare nella specie umana, genericamente considerata sulle nascite, è di 1 a 90. In media, la nascita di 2 gemelli avviene ogni 80 nascite singole; di 3, ogni 6.400; di 4, ogni 512 mila; di 5, ogni 56 milioni. Queste cifre non indicano però la frequenza reale del fenomeno, perché la gravidanza gemellare, dal concepimento al parto, è in pericolo ben più di quanto non sia la gravidanza semplice che è consueta per la specie umana: infatti può accadere che tutto il prodotto del concepimento (2 o più embrioni) muoia e quindi venga eliminato attraverso un aborto spontaneo; oppure che una parte degli embrioni perisca, lasciando campo libero allo sviluppo e quindi alla nascita di uno o più gemelli. Tanto nel primo come nel secondo caso, la gravidanza gemellare rimane totalmente o parzialmente sconosciuta.
La nascita gemellare segue un andamento geografico e razziale. È più frequente nei Paesi freddi che in quelli caldi, più nell'Europa settentrionale che in quella meridionale, raggiunge il massimo in Scandinavia e il minimo in Giappone. La frequenza relativamente più alta della gemellarità si riscontra nei negri; prendendo come riferimento i bianchi, si trova che, in fatto di parti plurimi, i negri sono superiori del 23,6 per cento ai bianchi, mentre le altre razze sono inferiori del 4,4 per cento alla razza bianca.
Ogni 100 donne, 20 sono predisposte alla gravidanza gemellare. Questa, poi, si verifica più spesso nelle donne che hanno già avuto più di una gravidanza normale. Inoltre, una donna già madre di gemelli ha 1 probabilità su 17 di partorirne altri. La possibilità del parto gemellare cresce con l'età: per una donna di 40 anni, la probabilità di dare alla luce gemelli è da 3 a 4 volte maggiore che per una donna di 20 anni.
Sui parti plurimi influiscono fattori ereditari che la donna può avere ricevuto dal padre, dalla madre o dal marito. La letteratura ostetrica cita casi di parti solo gemellari, come quello della tedesca Helm, nata da un parto quadrigemino, che sposò un gemello ed ebbe 11 parti di cui 2 quadrigemini, 6 trigemini e 3 gemellari, con un totale di 32 figli tutti gemelli. È stato segnalato anche il caso di una dottoressa americana, Mary Austin, che in 33 anni di vita coniugale diede alla luce 44 figli, cioè 13 coppie di gemelli e 6 gruppi di trigemini.
Sempre nel secolo scorso, si è registrato il caso di una donna siciliana che ebbe da 2 mariti 22 gravidanze tutte gemellari. Il caso inverso fu quello del contadino russo Fedor Vasiliev che nella seconda metà dell'Ottocento avrebbe avuto dalla prima moglie 69 figli in 27 parti (se ne è già accennato a proposito della maggiore prolificità femminile) e dalla seconda altri 16 in 5 parti doppi e 2 tripli: in tutto 85 figli, dei quali uno solo non sopravvissuto.
Casi più recenti, meno clamorosi ma ben documentali, non mancano. Per esempio, negli Stati Uniti, Alis May Tremblay, sposatasi nel febbraio 1945, ebbe 2 gemelli nell'ottobre di quello stesso anno, 2 nell'ottobre del 1946 e altri 2 nell'ottobre del 1947: 6 figli in 3 anni. Nel maggio 1956, una donna canadese dava alla luce per la settima volta consecutiva una coppia di gemelli.
Le statistiche indicano che i coniugati vivono più degli scapoli. Ma 100 anni di matrimonio è un traguardo assolutamente eccezionale: lo raggiunsero, il 31 maggio 1967, Balakisci Orudzhev e sua moglie Amina, abitanti in un villaggio dell'Azerbajgian (Unione Sovietica). Festeggiando un secolo di vita in comune, lui aveva raggiunto i 130 anni, lei i 114. Dal loro matrimonio erano nati 12 figli, il minore dei quali aveva 61 anni. Il loro primato coniugale era stato però già superato da un'altra coppia dell'Azerbajgian, formata da Nasir e Kula Kasimov, entrambi di 119 anni, che nel 1964 avevano celebrato 103 anni di matrimonio.
La regione della Terra dove la longevità è più alta è il Caucaso in cui, secondo statistiche ufficiali, nel 1965 vivevano più di 60 mila persone di età superiore ai 100 anni. Il primato in questo campo appartiene alla repubblica dell'Azerbajgian con più di 3.000 ultracentenari, seguita dalla Georgia (oltre 2.000) e dall'Armenia (circa 600). Specialisti in gerontologia hanno creato a Tiflis, capitale della Georgia, un centro di studi sulla longevità umana, sulle sue condizioni e sulle sue cause, da cui si spera di trarre insegnamenti pratici sulla prevenzione della vecchiaia e sulla cura delle malattie senili.
Nel 1964 fu completato un documentario sull'uomo più vecchio del mondo, Scirali Muslimov di Barzavu, un villaggio dell'Azerbajgian. A quell'epoca Muslimov aveva 159 anni e oltre 200 tra figli, nipoti e pronipoti. La sua ultima figlia nacque quando egli aveva già 124 anni, e anche questo è un primato assoluto di paternità. Ma il primato di longevità maschile spetterebbe a Sayed Ali Salehi Kutahi, un iraniano morto il 10 marzo 1959 all'età di 185 anni; quello femminile a una donna che, secondo un annuncio di radio Mosca, morì il 1° dicembre 1957, a 190 anni compiuti.
Si tratta però di notizie insufficientemente controllate. In tutti questi casi manca la prova principale, cioè il certificato di nascita autentico. La longevità umana è un argomento di cui si compiace l'immaginazione popolare e che si presta a equivoci (omonimia fra padre e figlio, ecc.) o più spesso a mistificazioni commerciali e politiche. Secondo molti studiosi di gerontologia, il limite massimo di longevità umana si aggira sui 110-:-115 anni e teoricamente la scienza - che nei Paesi occidentali ha elevato la vita media a circa 70 anni - sarà in grado di prolungarla non oltre i 120 anni circa.
Scoprire il segreto della longevità significa conoscere le cause e il meccanismo dell'invecchiamento. Ma si tratta di un fenomeno ancora molto oscuro. Sulla senilità esistono decine di teorie contrastanti, e nessuna sembra abbastanza convincente. Per esempio, secondo la teoria «traumatica», l'invecchiamento sarebbe riconducibile all'insieme degli innumerevoli traumi, grandi e piccoli, fisici e mentali, ai quali ogni individuo va soggetto nel corso della vita. Un'altra teoria mette in causa, invece, la mutabilità dei geni, cioè delle unità ereditarie contenute in ogni cellula dell'organismo: i geni possono andare incontro a mutazioni spontanee, ossia a variazioni nelle loro proprietà, e la frequenza con cui tali mutazioni si rivelano è direttamente proporzionale alla durata della vita individuale. E poiché molte di tali mutazioni sono sfavorevoli, si suppone che con l'andare degli anni un numero progressivamente crescente di cellule vada incontro alla decadenza, e che a questo fenomeno inevitabile sia dovuto il deterioramento dei tessuti, degli organi, dell'intero organismo.
Teorie come quelle sopracitate escludono la possibilità di un intervento efficace per ritardare il sopravvenire della vecchiaia. Quindi verrebbe annullato uno dei principali obiettivi della medicina, il quale consiste non tanto nel prolungare la durata della vita, quanto nel combattere gli effetti nocivi della senilità per conservare all'individuo la sua piena efficienza. Ciò che occorre, insomma, non è «aggiungere anni alla vita, ma vita agli anni».
Nuove considerazioni teoriche e i tentativi sperimentali da esse derivanti hanno fatto sorgere l'idea di un controllo genetico dell'invecchiamento. L'uovo fecondato contiene già tutti i «piani di costruzione» del nascituro. Ci deve essere dunque un meccanismo, non ancora scoperto, che provvede a far entrare in azione geni diversi al tempo giusto e nel punto giusto dell'embrione in sviluppo. Ebbene, si può ritenere che questo controllo genico dello sviluppo non cessi nel momento della nascita, o quando l'individuo è adulto, ma si prolunghi per il resto della vita, fino alla morte.
Ci sono giustificati motivi per dare credito a questa teoria. Uno dei principali si basa sul fatto accertato che la longevità è ereditaria, e che colture di cellule derivate da tessuti di individui più o meno giovani, dopo un certo numero di moltiplicazioni vanno incontro a fenomeni di degenerazione tanto più precoci quanto maggiore è l'età dell'animale o dell'uomo da cui si è compiuto il prelievo di cellule da coltivare. L'indagine sperimentale viene condotta mediante analisi degli acidi nucleinici cioè del materiale ereditario di cellule appartenenti a individui di diversa età. I risultati preliminari fino a oggi ottenuti non consentono ancora di affermare se questa teoria del controllo genetico dell'invecchiamento sia attendibile. Se lo fosse, la prospettiva di un prolungamento della giovinezza e dell'età matura diventerebbe abbastanza credibile. Si tratterebbe di individuare i geni la cui attivazione provoca la senilità; e poi di riuscire, mediante interventi chimico-biologici, a impedirne la attivazione, in modo che essi rimangano indefinitamente bloccati. Ma è una prospettiva ancora molto lontana. A chi desideri vivere a lungo, il genetista può rispondere con un paradosso: prima di nascere, sceglietevi genitori e nonni molto longevi. E al medico non resta altro che raccomandare una vita igienica: alimentazione parca ed equilibrata ritmi di lavoro e di riposo ben regolati, allontanamento dai fattori intossicanti e traumatici della vita posta sotto il dominio della civiltà industriale.
Un altro gruppo di primati umani è quello dei cosiddetti «scherzi di natura», un tempo oggetto di superstizioni o di sfruttamento commerciale (di cui nel secolo scorso fu maestro l'impresario americano Barnum) e oggi di pertinenza degli studi di patologia. Si tratta, oltre che dei cosiddetti «mostri» (individui nati con malformazioni vistose, talvolta di tipo doppio a causa di una gemellanza incompleta) dei nani, dei giganti, delle cosiddette «donne cannone» e così via, nei quali si notano eccezionali anomalie della crescita.
L'uomo più alto di tutti i tempi, sul quale esistono testimonianze irrefutabili, fu Robert Pershing Wadlow, nato nel 1918 ad Alton, nell'Illinois (Stati Uniti) e morto nel 1940: aveva raggiunto una statura di m. 2,70 e pesava Kg. 222,7. Fra le donne, il gigantismo è molto più raro. Il primato femminile di altezza spetta alla tedesca Marianne Wehde, nata a Benkendorf nel 1866, morta nel 1883, che misurava m. 2,55.
Il nano più piccolo citato dalla letteratura scientifica (Georges Buffon nella Histoire naturelle) misurava solo cm. 40 all'età di 37 anni. Meglio documentato è il caso del nano inglese Geoffrey Hudson, nato nel 1619 a Oakham e morto nel 1682, che a 30 anni era alto cm. 46. Il tedesco Walter Boehming, che affermava di essere il nano più piccolo del mondo e che morì nel 1955 a 48 anni, aveva una statura di cm. 52.
L'uomo più pesante, sul quale era stato possibile effettuare controlli sicuri, fu Robert Earl Hughes di Fish Hook, nell'Illinois (Stati Uniti), morto nel 1958, all'età di 32 anni: era alto m. 1,81 e il suo ultimo peso era di Kg. 484,9. La donna più pesante fu una negra morta a Baltimora (Stati Uniti) nel 1888: raggiunse Kg. 382,5. Il primato della leggerezza appartiene al gallese Hopkin Hopkins: dopo la sua morte, avvenuta nel 1754, a 17 anni, pesava Kg. 5,44; per 14 anni, non superò i Kg. 7,7.
Negli ultimi anni, i primati umani si sono arricchiti di un altro e più appassionante capitolo: quello riguardante i limiti di resistenza dell'organismo a condizioni ambientali inusitate. Sulla terra e nel mare, nell'aria e nello spazio, nelle profondità delle grotte e sulle massime vette, nei laboratori di fisiologia e nelle cabine di collaudo, decine di uomini hanno battuto nuovi primati in nome della scienza e della tecnica di avanguardia, della conoscenza e del progresso. Tali primati dimostrano nuovo che l'organismo umano, quando viene sostenuto dall'intelligenza, dalla volontà e dal coraggio, è in grado di sopravvivere a condizioni ambientali prima ritenute proibitive e, in molti casi, di adattarsi ad esse brevemente o a lungo. Spesso, occorre sottolinearlo, tali primati sono resi possibili dai mezzi che la scienza e la tecnica mettono a disposizione di questi «esploratori» che fanno arretrare le frontiere dell'impossibile.
La resistenza al freddo è stata sperimentata dal meteorologo Robert Hansen nell'Antartide, durante parecchie ore di marcia a circa _55 °C: le reazioni fisiologiche furono una leggera perdita di peso e abbassamento della temperatura corporea. La resistenza umana al calore, secondo i dati resi pubblici da specialisti di medicina aerospaziale degli Stati Uniti, è di 2 ore a circa 55° C, e di 15 minuti e mezzo a 128°C: nel primo caso, la maggior parte dei soggetti ha avuto disturbi cardiaci transitori; nel secondo caso sono stati registrati capogiri, nausee, disturbi della vista e dell'udito, accelerazione dei battiti cardiaci, anch'essi temporanei.
Prove compiute negli Stati Uniti mediante sedili catapultati hanno dimostrato che l'organismo umano è in grado di resistere a un vento di oltre 800 chilometri all'ora, ma che al di sopra dei 600 chilometri orari il vento mantiene aperti gli occhi, torce il naso, appiattisce i muscoli e strappa gli strati cutanei più sottili. Il vento combinato con il freddo è stato sperimentato nell'Antartide e ha permesso di riscontrare che un vento a 130 chilometri all'ora insieme con una temperatura di _45 °C, rappresenta il limite della sopportabilità perché provoca difficoltà respiratorie e disturbi visivi.
La tolleranza al dolore è stata misurata con vari sistemi. Uno di questi è il «dolorimetro» dell'Università Cornell (Stati Uniti), nel quale i diversi livelli d'intensità degli stimoli dolorifici, dal minimo al massimo, sono stati suddivisi in 10 gradini eguali chiamati dol. Si è così riscontrato che la sensibilità umana al dolore non supera i 10,5 dol (come nel caso di coliche nefritiche, e che il dolore medio va dai 2 dol (p. es., un mal di denti) ai 5 dol (p. es., una emicrania). Al di là dei 10,5 dol, non si registra più alcun aumento di dolore, anche se le sue cause sono accresciute.
Per ciò che riguarda il rumore misurato in decibel (un decimo di bel, unità a scala logaritmica di sensazione uditiva), esperimenti compiuti negli Stati Uniti dal Comitato di coordinamento della navigazione aerea (New York) e dal Centro di sicurezza aerea dell'Università Cornell, hanno dimostrato che il limite massimo di resistenza è di 120-:-140 decibel, ma che dopo esperienze prolungate insorgono stanchezza e disordini nervosi. Per avere un confronto, basti dire che iI rumore di una voce umana a circa un metro di distanza corrisponde a 60-:-65 decibel; oltre i 90 decibel, non si riesce più a comunicare mediante la parola; i motori degli aerei a reazione producono rumori che superano i 135 decibel.
L'udito e la vista sono molto sviluppati nell'organismo umano, e della loro acutezza si è già parlato nel capitolo dedicato ai sensi. Ora si può aggiungere un qualche altro dato sull'argomento.
Per esempio, la voce umana è udibile. quando l'aria è calma e priva di rumori, fino a 150 metri di distanza; il linguaggio fischiato degli abitanti l'isola di La Gomera (Canarie) fino a 8 chilometri; e si è riscontrato che in mare, in condizioni atmosferiche eccezionali, il richiamo di un naufrago è percettibile a 17 chilometri di distanza. L'occhio umano, a sua volta, ha un potere di separazione di 0,0003 radian (o arco di un minuto, cioè 1/60° di grado), corrispondente a 100 micron (millesimi di millimetro) visti a una distanza di 25 centimetri: ciò significa che l'occhio umano è in grado di essere stimolato da una sorgente luminosa che passa attraverso una apertura del diametro di soli 3-:-4 micron.
La resistenza umana alla privazione totale dei cibi, controllata su digiunatori volontari, si aggira sui 40 giorni. Tuttavia si cita il caso dello sciopero della fame, durato 94 giorni di cui furono protagonisti, nel 1920, 10 detenuti (uno di essi morì al 76° giorno) della prigione di Cork, in Irlanda. Inoltre sembra che il primato mondiale sia di 102 giorni: fu rivendicato da Cornelie Foster di 61 anni, una digiunatrice di Johannesburg, nel Sudafrica. Si crede generalmente che lo stato di digiuno sia molto penoso: in realtà i crampi della fame scompaiono dopo i primi giorni, e la sola sensazione avvertibile in seguito è la progressiva perdita delle forze. Tuttavia vi sono eccezioni: per esempio, in una pubblicazione del 1890, il fisiologo italiano Luigi Luciani attesta che il digiunatore Lucci al 12° giorno di digiuno fece una cavalcata di un'ora e 40 minuti, e al 23° giorno assistette a una rappresentazione popolare e sostenne due assalti di sciabola.
Se la mancanza di cibo è assoluta, la morte sopravviene quando l'organismo ha consumato quasi completamente tutti i suoi carboidrati e i suoi grassi e circa la metà delle sue proteine. Ma se alla privazione di cibo si aggiunge quella di acqua, allora la resistenza dell'organismo è di pochi giorni, perché gravissimi disturbi funzionali si manifestano dopo un paio di giorni, quando la perdita di acqua è del 10 per cento (circa 4,2 litri) e la morte sopravviene prima che tale perdita abbia raggiunto circa il 20 per cento (8,4 litri), quindi prima dei 4 giorni. L'uomo che superò di oltre il doppio questi limiti fu il marinaio cubano Prudencio Anguela Pédroma che dopo il naufragio del suo battello, avvenuto il 21 giugno 1960, visse 9 giorni su una zattera senza alcun nutrimento e senza acqua. Quando fu tratto in salvo, era in uno stato di estrema debolezza, soffriva di allucinazioni e aveva un principio di uremia.
Alla mancanza di sonno l'uomo resiste poche ore perché sopravvengono disturbi nervosi e mentali. Sembra inoltre dimostrato che il sonno è necessario anche per sognare, e che se un individuo viene privato sperimentalmente dei sogni, durante la veglia è soggetto a fenomeni allucinatori. Ma qual è il limite massimo di resistenza umana alla privazione volontaria di sonno? Otto giorni e poco più, a quanto pare. Nel 1959, nel corso di una prova fatta alla stazione radio WZRO di Jacksonville, in Florida (Stati Uniti), David Hunt restò senza dormire per oltre 9 giorni, 225 ore precisamente. Al termine dell'esperimento aveva allucinazioni, perdita dei riflessi, diminuzione dell'equilibrio, delle facoltà di percezione e di ragionamento.
Ma le capacità di sopravvivere non dipendono soltanto dalle potenzialità fisiologiche dell'organismo umano, che spesso offrono manifestazioni straordinarie. Dipendono anche dalle resistenze che la mente oppone alle avversità. Tipici furono i casi studiati negli Stati Uniti, dei soldati americani fatti prigionieri dai nordcoreani e morti non a causa di malattia, ma perché privi della «volontà di vivere». Ma non mancano esempi di uomini usciti vittoriosi da prove molto più ardue. Il primato in questo campo spetta all'aviatore francese Guillaumet che, caduto sulla cordigliera delle Ande, intraprese una «marcia di sopravvivenza» attraverso montagne deserte, nutrendosi di radici, finché 60 giorni dopo riuscì a trovare la salvezza. Un altro esempio è quello dell'australiano Mawson che nell'Antartico, dopo aver perduto i suoi compagni, la slitta e i cani marciò per 41 giorni prima di riuscire a raggiungere la base di partenza. L'uomo che sopravvisse più a lungo su una zattera dopo un naufragio fu Poon Lim, cameriere di bordo del mercantile inglese Lomond silurato nell'Atlantico il 23 novembre 1942: fu tratto in salvo 133 giorni dopo nelle acque del Brasile.
Di natura soprattutto psicologica è anche la resistenza alla solitudine. In questo campo, un primato diventato storico, anche perché ebbe la sua rappresentazione letteraria nel Robinson Crusoè di Daniel Defoe, è quello di David Selkirk che visse 5 anni (dal 1704 al 1709) in solitudine sull'isola Juan Fernandez, nel Pacifico: Selkirk resistette all'isolamento imponendosi una vita regolare, prendendo varie abitudini, compilando un calendario, e così via. Un altro celebre primato di solitudine è quello dell'ammiraglio Bird che nel 1934 visse 7 mesi in un igloo: malgrado il lavoro che l'assorbiva molto e la compilazione regolare di un diario, egli finì con l'avvertire disturbi dell'attenzione, della memoria, dell'orientamento e paura di uscire all'aperto.
Negli ultimi anni sono stati compiuti esperimenti di isolamento sensoriale. Per esempio alla Università Mcgill di Montreal, in Canada, gli sperimentatori scelsero un gruppo di studenti disposti a rimanere chiusi in una cella individuale dove vi era posto solo per stare sdraiati su un comodo letto. Ogni volontario portava una visiera di plastica che permetteva solo il passaggio di una luce diffusa e impediva di vedere i particolari dell'ambiente; le mani erano rivestite con guanti di cotone e circondate da polsini di cartone, più lunghi delle dita, che permettevano un libero movimento delle articolazioni ma scarse percezioni tattili. Il volontario udiva solo il lieve ronzio di un condizionatore d'aria posto sopra di lui. Si ebbe così modo di constatare che la resistenza massima a questo isolamento sensoriale era di 6 giorni.
Durante questo tempo, i disturbi principali erano depressione, incapacità di concentrarsi, allucinazioni visive e, con minore frequenza, uditive e corporali. Tali ricerche hanno messo in evidenza la duplice funzione degli organi sensoriali: essi non si limitano a fornirci informazioni specifiche sul nostro ambiente, ma hanno anche una funzione aspecifica nel mantenimento della normale organizzazione di vigilanza del cervello. Se non usiamo i nostri sensi per un periodo di tempo, essi non lavorano più con la loro normale efficienza. La percezione è come una capacità che comincia a declinare quando non viene esercitata, e che per ripristinarsi richiede un periodo di riadattamento. Per ciò che riguarda l'isolamento sensoriale assoluto, sembra che la sua durata non sia superiore ai 7 giorni: la prova sperimentale fu fornita da una donna, Zelma Arment, rimasta per tutto questo tempo rinchiusa in un ambiente buio e completamente silenzioso, alla base aerea Wright-Patterson nell'Ohio (Stati Uniti). A differenza di altri volontari maschili che avevano desistito dopo 2 o 3 giorni, la Arment dimostrò di sopportare molto bene tale ardura prova sperimentale.
Le ricerche di biologia, di fisiologia e di medicina legate con lo sviluppo dell'aeronautica e dell'astronautica hanno permesso di accertare, fra l'altro, che l'organismo umano è in grado di sopportare forti aumenti di gravità. La misura convenzionale della forza di gravità, basata su quella esistente alla superficie terrestre, è il g. Quindi per ogni corpo in riposo sulla Terra, la misura di gravità è di 1 g. L'uomo non l'avverte, perché si tratta della gravità normale dell'ambiente in cui vive.
Ma la forza di gravità aumenta ogni volta che l'organismo è sottoposto a variazioni di velocità, ossia ad accelerazioni o a decelerazioni. Tali variazioni si traducono in variazioni di peso: così, ad esempio, un uomo che pesa normalmente 70 chili ne pesa 700, cioè 10 volte di più, se una brusca accelerazione o decelerazione lo porta dal normale 1 g a 10 g. Questi mutamenti della forza di gravità si avvertono in misura modesta in molte circostanze, per esempio quando guidando un'automobile si accelera bruscamente o quando si frena all'improvviso. Tutti i traumi provocati da scontri o da cadute sono legati a decelerazioni che durano frazioni di secondo e durante le quali l'organismo è sottoposto a enormi aumenti di peso, da 25 fino a 700 g.
La più dura prova di resistenza all'accelerazione e alla decelerazione fu superata nel 1954 dal medico aeronautico John Paul Stapp alla base di Alamogardo, nel Nuovo Messico: legato al seggiolino di una specie di slitta dotata di propulsori a razzo e posta su un binario lungo 1.100 metri; Stapp compì il percorso in solo 6 secondi e mezzo mentre il suo corpo veniva accelerato e decelerato al limite dei 1004 chilometri all'ora. Al termine dell'esperimento, che era il culmine di una serie alla quale Stapp si era sottoposto volontariamente, si riscontrò che egli aveva resistito a una decelerazione fino a 40 g, sopportando disturbi visivi, respiratori e circolatori, ma privi di conseguenze dannose. Per ciò che riguarda le prove per astronauti, il primato spetta a un volontario che nel 1959, in un laboratorio di Johnsville, in Alabama, sopportò per 12 secondi i 31 g nell'interno di una capsula piena d'acqua e montata su una centrifuga che girava a 4.825 chilometri all'ora. In una capsula senz'acqua, invece, sono stati raggiunti i 16 g.
La più lunga caduta libera, compiuta a scopo sperimentale, è quella del capitano Joe W. Kittinger dell'aeronautica militare statunitense: il 16 agosto 1960, nel cielo di Tularosa, nel Nuovo Messico, Kittinger si gettò da un pallone salito a 31.150 metri di altezza e scese per 25.817 metri in caduta libera raggiungendo la velocità di 988 chilometri all'ora. La caduta durò 4 minuti e 38 secondi. Quando Kittinger aprì il paracadute, si trovava a 5.333 metri di altezza.
Il primato di sopravvivenza a una caduta spetta al sovietico Jvan Chissov che nel gennaio 1942, tenente aviatore con funzioni di navigatore a bordo di un bombardiere, si trovò costretto a buttarsi fuori perché il velivolo era stato gravemente danneggiato dalla contraerea tedesca. Chissov si trovava a circa 7000 metri e, per evitare di essere bersagliato dai tedeschi, decise di aprire il paracadute il più tardi possibile. Ma perse conoscenza e piombò al suolo. Per fortuna cadde su una grossa slavina di neve fresca e farinosa e scivolò su di essa lungo un ripido pendio. Perciò la sua caduta fu in gran parte ammortizzata. Chissov ebbe parecchie fratture ossee, ma sopravvisse e riuscì a ristabilirsi quasi perfettamente.

DAL MARE ALLO SPAZIO

La maggiore altezza da cui un uomo sia caduto rimanendo incolume è di 5.490 metri. L'incidente avvenne il 23 marzo 1944, quando il sergente d'aviazione Nicholas S. Alkemande si gettò da un bombardiere inglese in fiamme nel cielo della Germania. Il suo paracadute non si aprì, ma la caduta fu ammortizzata prima da un abete, poi da uno strato di neve alta 65 centimetri. Alkemande non ebbe la minima frattura.
Il suo caso, come quello del sovietico Chissov, non ha nulla di miracoloso, perché è spiegabile con la presenza di circostanze eccezionali nel luogo della caduta, che permisero alle forze di decelerazione e di impatto di ripartirsi nel tempo e nello spazio: un cumulo di neve morbida e un ripido pendio nel caso di Chissov; un abete e un alto strato nevoso nel caso di Alkemande. Anche l'acqua ammortizza le cadute, ma solo quelle che avvengono a pochi metri di altezza; e se poi il corpo cade di piatto, allora la decelerazione e l'urto vengono ammortizzati in misura molto inferiore a quella di un tuffo effettuato di testa. Il limite di sopravvivenza a una caduta in acqua è stato segnato da un uomo che cadde da una scogliera alta 56 metri e riuscì a resistere, nel momento in cui cadeva in acqua, a una decelerazione da 109 chilometri all'ora a zero, durata 0,015 secondi.
La massima profondità del sottosuolo dove l'organismo umano ha dimostrato di essere in grado di resistere e di lavorare è di 3.500 metri circa. Questo primato è stato raggiunto nel giacimento aurifero East Rand Proprietary di Boksburg, nel Sudafrica, nel quale i minatori, dopo un periodo di acclimatamento, lavorano in un ambiente con temperatura prossima ai 34 °C, alto grado di umidità e ventilazione molto scarsa.
Per ciò che riguarda le immersioni subacquee, il primato in apnea (cioè senza respirare) è del francese Jacques Mayol che nel 1966 raggiunse m. 60,35 mediante una zavorra; in scafandro autonomo, da parte di alcuni sommozzatori, di 70 metri circa; in scafandro da palombaro, il primatista è lo svizzero Hannes Keller, che il 30 giugno 1961 raggiunse i 222 metri nel lago Maggiore (Italia). In camera di compressione, lo stesso Keller giunse sperimentalmente all'equivalente di 300 metri. La massima profondità marina fu raggiunta, il 24 gennaio 1960, da Jacques Piccard e Don Walsh che a bordo del batiscafo Trieste toccarono il fondo della fossa Challenger, nel Pacifico: 10.912 metri.
La massima altezza dalla Terra raggiunta nel corso di un volo orbitale fu di 1.370 chilometri, il 14 settembre 1966, da parte degli astronauti americani Charles Conrad e Richard F. Gordon a bordo della cabina Gemini-11 agganciata al veicolo Agena il cui motore forniva la propulsione. A bordo di un aerorazzo - l'americano X-l5 - sganciato in quota da un «aereo-madre», la massima quota raggiunta, il 22 agosto 1963, fu di 107.961 metri, da parte del collaudatore Walker. Su di un aereo a reazione, il primato di altezza fu conseguito il 28 aprile 1961 dal sovietico G. Mosolov con 32.187 metri.
Terminiamo questo capitolo ricordando che il primato certamente più nuovo, perché sottopone l'organismo umano a condizioni del tutto inusitate, è quello di durata in volo spaziale, cioè in stato di imponderabilità o assenza di peso: i campioni di questa prova, che solleva complessi problemi di biologia e di psicologia, sono gli astronauti americani Borman e Lovell, i quali nel dicembre 1965 trascorsero 330 ore e 6 minuti a bordo della cabina Gemini-7, percorrendo 206 orbite intorno alla Terra.
 

eXTReMe Tracker

Shiny Stat

free counters

Validator.w3.org

 

  Ai sensi dell'art. 5 della legge 22 aprile 1941 n. 633 sulla protezione del diritto d'autore, i testi degli atti ufficiali dello Stato e delle amministrazioni pubbliche, italiane o straniere, non sono coperti da diritti d'autore. Il copyright, ove indicato, si riferisce all'elaborazione e alla forma di presentazione dei testi stessi. L'inserimento di dati personali, commerciali, collegamenti (link) a domini o pagine web personali, nel contesto delle Yellow Pages Trapaninfo.it (TpsGuide), deve essere liberamente richiesto dai rispettivi proprietari. In questa pagina, oltre ai link autorizzati, vengono inseriti solo gli indirizzi dei siti, recensiti dal WebMaster, dei quali i proprietari non hanno richiesto l'inserimento in Trapaninfo.it. Il WebMaster, in osservanza delle leggi inerenti i diritti d'autore e le norme che regolano la proprietà industriale ed intellettuale, non effettua collegamenti in surface deep o frame link ai siti recensiti, senza la dovuta autorizzazione. Framing e Deep Link: che cosa è lecito - Avvocato Gabriele FAGGIOLI. Il webmaster, proprietario e gestore dello spazio web nel quale viene mostrata questa URL, non è responsabile dei siti collegati in questa pagina. Le immagini, le foto e i logos mostrati appartengono ai legittimi proprietari. La legge sulla privacy, la legge sui diritti d'autore, le regole del Galateo della Rete (Netiquette), le norme a protezione della proprietà industriale ed intellettuale, limitano il contenuto delle Yellow Pages Trapaninfo.it Portale Provider Web Brochure e Silloge del web inerente Trapani e la sua provincia, ai soli dati di utenti che ne hanno liberamente richiesto l'inserimento. Chiunque, vanti diritti o rileva che le anzidette regole siano state violate, può contattare il WebMaster A.C.L.C. Michele MAZZONELLO +39 3474054001

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Close